Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

I keep my past bеhind glass, but you don’t want to know

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    Scosse la testa divertita, anche se il suo viso non cambiò espressione. Diciamo che ho fatto in modo che la stanza mi chiamasse. Era stata stranamente impulsiva. Dopo aver origliato la discussione tra Zach ed Angelo, voleva stare accanto all'amico ed aveva fatto in modo che ciò accadesse.
    Entrare prima che la stanza la lasciasse fuori, fu estremamente semplice con la velocità di cui era dotata.
    Non la riconosco perché non la posseggo mormorò a bassa voce, svelando la verità che molti sembravano ignorare in quella scuola. Sapeva bene l'impressione che dava dall'esterno: una ragazzina fredda, misteriosa che incuteva anche un po' di timore. Sembrava avere le idee chiare, sapere cosa voleva e riuscire sempre ad ottenerlo ma quella era la vecchia sé, quella che non riusciva più a riconoscere. Ora non sapeva più cosa stava facendo, stava semplicemente tentando di esistere anche se era l'ultima cosa che desiderava.
    Fingo solamente molto bene.

    Poté notare le emozioni che si susseguirono nello sguardo del tassorosso. Non si aspettava certamente quella risposta ma non avrebbe mai mentito a nessuno di loro. Aveva la sensazione che se lo avesse fatto, i muri che aveva eretto intorno a sé sarebbero stati definitivamente impenetrabili e non voleva perderli, anche se il suo comportamento sembrava gridare tutt'altro.

    Rimase alcuni secondi in silenzio per poi muovere la mano guantata ed afferrare, di sua iniziativa, quella di Zach. Aveva apprezzato che glielo avesse chiesto ma nonostante fosse pronta al contatto, gli occhi incontrarono delle iridi rosse e alle sue orecchie giunse un ululato lontano. Scosse la testa come a scacciare quel ricordo ma anche così il suo corpo rimase comunque leggermente rigido.
    Avrebbe mentito se avesse detto che quel contatto non era un sacrificio per lei. Purtroppo, anche quando Emily le aveva chiesto un abbraccio, aveva provato le medesime sensazioni eppure, non si sarebbe sottratta perché, per le persone che amava, era pronta a fare qualche sacrificio, perché aveva la sensazione che quello sfiorarsi servisse più a loro che a lei.
    I tassi avevano la straordinaria tendenza di fare loro il dolore altrui e sapeva che si stavano preoccupando per lei più del necessario. Le sembrava un punizione accettabile stringere mani e concedere abbracci quando, per mesi interi, era stata una pessima amica.

    Osservò l'amico, registrò il simbolo nell'occhio destro e poi udì le parole. Ti vedo. Se ne fosse stata ancora capace, sarebbe sicuramente scoppiata a piangere. Lui vedeva la versione di Evelyn che non esisteva più. L'ultimo barlume del suo passato era racchiuso solo nei ricordi. Perché ti scusi anche quando la colpa non è tua? Lo faceva sempre, prendersi responsabilità che non gli appartenevano. La colpa per cui mi sento così non è tua anzi, vuoi sapere la verità? Una domanda retorica dato che aveva già deciso di metterlo al corrente di ciò che pensava. Stare con te mi fa sentire normale, ancora intera.
    Daniel la guardava con tristezza, Marcus era quasi sempre arrabbiato con lei ed Emily aveva assunto un atteggiamento strano ma Zach la trattava normalmente.
    Non sapeva perché lo facesse ma quando stava con lui riusciva quasi a ricordare cosa significava essere Evelyn. Quella vera e non il guscio vuoto che era disteso su quel letto.

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    Tratteneva le emozioni, quel volto lui di fronte. Le mutava, l'animo a comandarlo, a comandarne i lineamenti. Era normale. Era normale che così fosse, pensava lui. Era ingiusto, ma era normale. Era ingiusto, poi, che pensasse a quel modo, di sé. Ma anche quello, era normale. Erano così, le cose, era così, lei, erano così, loro, entrambi. "A volte basta fingere per convincersi. E quando ci si convince, diventano vere.", ribatté. Una realtà che aveva imparato a suo tempo, una realtà che faceva male ma la quale consapevolezza ora rendeva tutto più semplice, rendeva chiaro e cristallino la forza della mente, dell'immaginazione, quello di cui loro due, maghi entrambi, erano composti. "Non lo so, Eve. Lo vedo quando stai così. Come tu vedi me.", mormorò. Sorrise appena. Non la concluse, quella frase, non concluse quel concetto, perché poi di fondo non vi era una vera conclusione. Erano lì, a guardarsi. Sapersi reali, concreti, potersi guardare l'uno attraverso lo sguardo dell'altra e viceversa, sapersi specchiare e trovare accettazione, supporto, trovare semplicemente sé stessi, quando lo specchio invece non rifletteva più la loro immagine, aveva un valore tutto diverso. Guardandosi nel vetro, Zacharie vedeva quella maschera che gravava sulle proprie spalle. Guardandosi attraverso di lei, invece, vedeva qualcosa di diverso. Qualcosa di migliore. E che lo fosse veramente o meno era felice che così fosse. E forse, anche solo nella speranza di darle ragione, si sarebbe impegnato a rimanere lì. Aggrapparsi al bordo del baratro e trascinarsi su.

    Fu felice nel sentire la mano della ragazza afferrare la propria. Dita guantate, forti, una stretta alimentata da un ricordo che ora Zacharie non poteva neanche immaginarsi. Eppure nel percepire la pressione di quella stretta, di rimando fu delicato, premuroso. Le mani del tassorosso erano un abbraccio appena percettibile, una carezza a guidare il flusso dei pensieri, a placare il battito di un cuore dilaniato. Le parole dell'altra, poi, lo trascinarono ad un sorriso dolce, una gioia derivata dal sentirla sincera, dal sentirla dichiarare quello che d'istinto provava anche lui, dal sentirla affermarsi ancora composta di un unico pezzo, ancora completa. E così era. Bastava convincersene. Bastava mentirsi, anche solo una volta di più, bastava convincersene, volerlo essere per davvero. Sarebbe bastato, sì. Sarebbe bastato davvero? "Non lo so, scusa.", rispose, quasi ridendo, per trattenere quelle lacrime empatiche che avrebbe sicuramente lasciato andare, avesse tentennato anche lei. Rideva ricolmo del calore di un affetto indefinito, indescrivibile, lì a prescindere che Evelyn lo volesse o meno, o che lo sentisse meritato o meno. E sarebbe sempre stato lì.

    "Sei normale, Eve. Qualunque cosa voglia dire, poi.", mormorò. "Qualunque cosa succeda, ti prometto che il mio sguardo te lo ricorderà per sempre.", le disse. Un impegno, una responsabilità. No, una realtà dei fatti, qualcosa che sarebbe successo a prescindere, una cosa naturale. Sì, ecco, una verità che sarebbe stata tale per gli anni a venire, senza se, senza ma. Una cosa, finalmente, che poteva dire veramente giusta. "Nessuno è normale. Ed è normale così, è giusto così.", la rassicurava. "Sei Eve. Sei te stessa. Qualunque cosa significhi. Qualunque cosa significherà tra un anno, tra cinque, tra dieci, sarai sempre te stessa. Sei forte. Lo so che sei forte. E so che non te lo farai portare via.", fiducia, speranza, la sua, discorso carico di quella bontà d'animo che non sapeva lasciarsi alle spalle, anche quando minuti prima solamente si era detto incapace di distinguere dove tracciar la linea tra parole genuine quali quelle ed una forzatura di un personaggio che si sarebbe presumibilmente inventato per esser più simile a sé stesso. No, era tutto vero, quello che diceva. O perlomeno, lo era per sé stesso. Era come una lettera scritta dal fondo di un letto d'ospedale, parole vergate con il braccio rotto appeso al collo, sperando che all'altro capo della penna arrivasse quella spontanea sincerità che avrebbe voluto imprimere nell'inchiostro, come ora nella voce. "Non sono io che ti faccio sentire così. Io sono qui solo per farti da ricordella.", un'implicita promessa, ancora, un reiterarsi di quella precedentemente resa espressamente tale.
     
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    Annuì alle parole di Zach. Quel discorso non aveva un senso logico eppure lo capì perché non doveva usare la testa bensì il cuore.
    Lei riusciva a vedere una versione di lui che il ragazzo pensava non esistesse e lo stesso era in grado di fare il tassorosso nei confronti della serpeverde.
    Non sapeva chi avesse ragione ma, per la prima volta, non le interessava scoprirlo. Era bello sapere che per qualcuno non era una vittima di chissà quale gioco perverso, non era un licantropo privo di controllo. Era solo Evelyn.

    Sollevò un sopracciglio nel sentire l'ennesimo scusa e scosse la testa divertita. Le piaceva anche quel lato di lui. Non lo capiva ma faceva parte di Zach e probabilmente, se avesse smesso di essere così empatico non sarebbe stato lo stesso amico che apprezzava e a cui voleva così tanto bene .

    Normale. Aveva sentito quel discorso molte volte ed altrettante volte lei non ci aveva creduto. Non voleva considerare la normalità dover soffrire ogni mese, avere la costante paura di far del male al qualcuno, tremare impaurita al ricordo di quella notte. Quella non poteva essere la normalità perché sarebbe stato troppo crudele doverla vivere per il resto dei suoi giorni. Lentamente, sfilò la mano dalla presa del ragazzo, rivolgendogli uno sguardo di scuse. Ci era riuscita ma il contatto prolungato era ancora qualcosa di complesso per lei. Si rigirò sul materasso, stendendosi sulla pancia ed incrociando le braccia sotto la testa ed osservando il profilo dell'amico.
    E' solo che...si bloccò per un istante, nella speranza di raccogliere i suoi pensieri così da riuscire a dirli ad alta voce Sono cambiata in maniera irreversibile. Chiunque mi guarda vede Evelyn ma è solo apparenza, il contenuto è diverso. Sento che è diverso. Dovrei trasformare questo cambiamento in normalità, accettarlo ma non ci riesco. Ho paura di non poter essere me stessa nemmeno tra mille anni. Per la prima volta da mesi, stava parlando liberamente. Non si era aperta né con i suoi genitori, né con il magipsicologo né tantomeno con Emily. Non sapeva perché lo stesse facendo in quel momento: forse perché qualunque cosa avesse detto, per Zach, sarebbe sempre stata Evelyn, forse perché lui era maledetto come lei e poteva capire, in parte, le sue parole o forse, più semplicemente, ne aveva bisogno il suo cuore. Qualunque fosse il motivo, non si pentì di quella piccola confessione.
    Ti sei mai sentito così?

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    Se il contatto fisico a unirli ora era svanito, senza che il ragazzo s'opponesse in alcun modo, ora la sentiva più vicina, Evelyn. Così come lui s'era spinto a rivelarle ciò che da dentro sembrava volerlo divorare - sensi di colpa di una vita passata con la convinzione di dover stringere i denti e andare a vanti - ora invece lei si spinse ad esprimere a parole quello che sentiva, quello che la attanagliava, a dipingere a pennellate di neri quell'immagine di sé che comunque percepiva come fittizia, una facciata che non riusciva più a reggere in piedi. E ci pensò su, ora rivolgendosi di nuovo al soffitto, scivolando con la schiena contro le lenzuola, rilassando i muscoli e lasciando andare un lungo sospiro, ma sottile, quasi impercettibile. Non era facile rispondere a quel quesito. Perché poi di fondo gli chiedeva null'altro che d'essere compresa. Ed era difficile farlo trasparire, sapeva quanto fosse difficile sentirsi così, e quanto fosse ancor più difficile sentirsi soli nel sopportare.

    "Forse.", diceva. Non era per lui decidere se fosse lo stesso. Le avrebbe raccontato qualcosa. Qualcosa di sé, un pezzo di un puzzle che aveva lui come risultato. Quelle cose che non dici sotto la luce del sole per paura che quella sappia spargere la voce al posto tuo, come se il bagliore pallido della Luna non avesse la medesima fonte. "Quando ho incontrato Aiden mi sono sentito... spezzare.", mormorò. "Non sapevo cosa fare. Cosa dire. Per com'ero prima, non avrei mai potuto aiutarlo. Ma non avrei mai potuto essere vostro amico. Fossi rimasto quello che ero, non avrei avuto nulla. Eppure cambiando sentivo che il contrario sarebbe stato vero. Che nessuno mi avrebbe aspettato. Che a separarmi dal mondo intero ci fosse un baratro grande il doppio.", raccontava. Entrambe le mani del tassorosso finirono dietro la propria nuca, dita a sorreggerla in un groviglio.

    "Mi ha tradito.", un sussurro spezzato da un'emozione che trattenne, un risentimento difficile da nascondere. "È quello che pensavo, 'mi ha tradito'. ma mio padre ha fatto di peggio. Ha tradito sua moglie. Non... non riuscivo a capirlo. Non riesco a capirlo. Non riesco a capire perché non mi abbia mai detto nulla. Perché non ci abbia mai raccontato nulla.", ed era impossibile che lo comprendesse. Poteva solo speculare, immaginare, tentare di giustificarlo. Ma non sarebbe mai bastata, la sua immaginazione. Anche i pensieri di un mago non sono abbastanza per cambiare la realtà quando oramai la verità è già scritta. E alla fine, non importava veramente perché. Anche lo avesse scoperto, anche ne avessero parlato per ore, per giorni, per mesi, non sarebbe mai bastato.

    "Io mi fidavo.", soffio appena tremante. "Mi ha insegnato tutto quello che ero. Tutto quello che volevo essere. Io mi fidavo. E mi ha lasciato senza nulla.", le ammise. E non era un segreto che lo ammirasse, una volta, che lo idolatrasse, e che come vedeva nel padre una figura di riferimento, una figura da idolatrare, ora guardasse il mondo ricercandolo in tutto, in tutti, in sé stesso. "E anche Emily lo ha visto. Mi ha visto svuotarmi. Ho tradito la sua fiducia, come lui ha tradito la mia. Anche non volendolo più, ero diventato come lui.", un modo come un altro di romanzare quella sera. Eppure era così che aveva deciso di raccontarla, perché era così che la percepiva. "E quando l'ho capito ho capito di non poter più tornare indietro. Che non avessi scelto una strada, una qualunque, sarei scomparso."

    Silenzio. Quale il verdetto? La guardò, l'amica al suo fianco. Lo vedeva ancora?
     
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    La Evelyn di un tempo non sarebbe mai riuscita a capire le parole che Zach le stava dicendo in quel momento. Aveva passato molti mesi a chiedersi perché avesse scelto Aiden, un perfetto sconosciuto, a loro. Perché si sentisse in diritto di aiutare un fratello di cui aveva ignorato sempre l'esistenza e spezzare il cuore alla sua ragazza e lasciare indietro i suoi amici.
    Prima non avrebbe mai capito...ora, era tutto diverso. Lui si era sentito esattamente come lei: spezzato e senza una via di fuga. L'unica differenza era che il caposcuola aveva compreso che, se non voleva perdere ciò a cui teneva, aveva bisogno di cambiare, di trasformarsi in qualcosa di diverso altrimenti il buio l'avrebbe imprigionato per sempre.
    Era stata superficiale a non parlargli prima, a pensare, erroneamente, che il suo fosse un semplice gesto dettato dalla gentilezza e non dalla sofferenza perché era anche quello di cui si parlava.
    Una delle persone che avrebbe dovuto proteggerlo dalle atrocità del mondo, era quella che aveva distrutto i suoi sogni, tradendo la madre e distruggendo la fiducia di un figlio.
    Aveva sofferto così tanto e lei non se ne era resa conto. Si era concentrata su Aiden e sul motivo per il quale lo preferisse a loro, non pensando che, con la comparsa del ragazzo, la famiglia di Zach era stata distrutta.

    Non era in grado di dare un motivo alle azioni del padre ma anche se ne fosse stata capace, credeva che non sarebbe stato una degna giustificazione. Per Evelyn, la fiducia era tutto ed una volta persa era quasi impossibile riguadagnarsela.
    La cosa che però le dava fastidio, era il modo in cui l'amico si paragonasse all'uomo. Condividevano lo stesso sangue ma erano persone completamente diverse.
    Non sei come lui. Per lei era ovvio come le stelle nel cielo: Zach era migliore di suo padre. Lui ha tradito la tua fiducia per egoismo, tu per amore. Sono due cose completamente diverse. Era una serpeverde, il fine giustificava i mezzi e lei sapeva che Zach non avrebbe mai voluto ferire Emily.
    Non so perché tuo padre abbia fatto ciò che ha fatto ma so che ciò che ha spinto te, era la volontà di proteggere Emily e questo ti rende diverso da lui. Il padre aveva mentito su un figlio, lui voleva semplicemente risparmiare alla rossa altri problemi. L'aveva fatta soffrire? Certo ma nessuno era perfetto e quando si è spezzati, è molto facile fare la scelta sbagliata. Lei ne sapeva qualcosa.

    Come hai saputo che strada scegliere? gli domando, sorreggendo la testa con un braccio, sperando che la sua risposta potesse aiutarla a capire la direzione che avrebbe dovuto prendere.

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    Per quanto apprezzasse quelle parole, non poteva darle ragione. Per quanto volesse crederle, per quanto sapesse quanto significasse quel momento per sé stesso quanto per la Castel, ora non poteva lasciarsi convincere da qualcosa che non sapeva essere vero. E per quanto sapesse come quelle parole fossero anche frutto dell'affetto che provavano l'uno per l'altra - e viceversa - sapeva anche che non era giusto presumere che suo padre non avesse avuto una buona ragione per fare quello che aveva fatto e presumere che ancora non stesse nascondendo quella verità per un'altra buona ragione.

    Forse anche lui aveva corrotto tutto ciò che avevano soltanto per amore. O forse lo aveva fatto per disperazione, così come poteva presumere da quel poco che sapeva del passato di quell'uomo che un tempo non aveva segreti e che invece ora sembrava tanto distante quanto etereo e misterioso. Forse aveva veramente toccato il fondo. E com'era, il fondo? C'era mai arrivato, lui stesso? Aveva mai guardato il mondo brillare dal buio più totale? Zacharie era ancora... acerbo. E sapeva di esserlo. E nel saperlo ora si chiedeva quali atrocità avesse visto, un uomo come Edwin Fletcher. Se nelle sue scarpe non avrebbe fatto lo stesso. Se avrebbe fatto le sue stesse scelte, qualunque esse fossero state, o se fossero veramente diversi come il cappello parlante stesso sembrava implicare, smistati in due case differenti, in tempi differenti, per motivi differenti.

    Si chiedeva se sarebbe stato più come lui, ora, fosse stato Corvonero invece che unirsi ai figli di Tosca. Si chiedeva se Emily sarebbe stata più come sua madre, fosse stata tra i serpeverde. Ma come avrebbe potuto? Non lo sapeva. Si chiedeva se sarebbero stati amici a quel modo, non fosse andato tutto esattamente così com'era andato. Si chiedeva se nella vita avrebbe visto quei colori e quelle sfumature che aveva saputo trarre ed estrapolare dal nulla, dal vuoto che aveva sentito nel dover scegliere una strada, Così era stata definita, oramai, quell'andare avanti. Avevano scelto quella metafora, e non si poteva più tornare indietro. Anche quella era una strada, una strada come un'altra. Scelta per convenienza, scelta per meglio comprendere la vita, per meglio comprendersi a vicenda.

    "... Credo di sì. E immagino che questo basti.", mormorò. Credere. Aver fiducia. Bastava veramente tentare di convincersi di qualcosa perché quello diventasse reale? Bastava veramente voler essere diverso dal padre per esserlo realmente? Bastava la parola di Evelyn perché così fosse? La sua domanda successiva però fu chiave per dare un senso a quei costanti quesiti.

    "Non lo so. Sapevo solamente che non sarei mai riuscito a rimanere da solo. Che anche se forse sul momento spingervi via fosse la soluzione più semplice e sensata, a lungo andare me ne sarei pentito. Che non sarei riuscito a stare in piedi da solo. Che anche io avevo bisogno di qualcuno al mio fianco.", la voce procedeva tra i pensieri di getto, senza darvi un'ordine ed un senso, senza aspettare che l'istinto fosse snaturato dalla logica. Perché non c'era nulla di logico, nel contrastare la vita, e quelle illogiche pieghe a disturbare il flusso degli eventi. Casualità, causalità, non importava quale delle due forze avesse il sopravvento sul loro divenire, importava soltanto come andare avanti, a prescindere da tutto.

    "Non volevo... deludervi. Volevo sentirmi di nuovo in pace con me stesso. Volevo sentirmi di nuovo me stesso, immagino. Volevo semplicemente essere migliore. Non tanto per il gusto di farlo, non per la sola volontà di dimostrarmi qualcosa, ma perché vale qualcosa, essere la migliore versione di sé che si può, perché gli altri lo vedono, lo sentono, lo sanno. E anche quando non lo sanno, o quando non lo dimostrano, alla fine le cose devono pur trovare un loro posto. Sapevo solamente che avrei trovato il mio.", spiegava. "E volevo che fosse qui.", qui, diceva, "al tuo fianco", intendeva. Non avesse trovato la propria via, non sarebbe mai stato lì. Per parlare, per aiutarsi. E allora, che senso avrebbe avuto, a quel punto, quella vita che si era scelto? Non sarebbe stato quello che desiderava. Non sarebbe stato nulla. E nessuno lo avrebbe mai più guardato veramente.
     
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    Conosceva così bene Zach da essere certa che lui non credesse alle sue parole.
    A differenza di Evelyn, che si aspettava sempre il peggio dal prossimo, il tassorosso era in grado di donare il beneficio del dubbio, di ritenere le persone innocenti fino a prova contraria, di credere che ci fossero motivi giusti ed onorevoli dietro a gesti deplorevoli.
    Forse il caposcuola aveva ragione, forse lei stava completamente sbagliando sul conto dell'uomo ma non riusciva a perdonare qualcuno che, era ovvio, avesse fatto soffrire una delle persone a cui era più legata.
    Non importava se avesse fatto tutto a fin di bene, se avesse motivazioni giuste, se neanche lo conoscesse. Nulla di tutto ciò importava. L'unica cosa che contava era che Zach si era sentito tradito e lei non avrebbe mai potuto perdonare il padre del ragazzo per quello.
    Così come non avrebbe mai potuto considerare l'amico uguale all'uomo. Zach, per lei, era sempre stato l'esempio da seguire. Quella persona giusta e corretta che raramente sbagliava ed anche quando accadeva, non era mai per le ragioni errate.
    Ovvio, come tutti era umano con le proprie paure e difetti ma, per Evelyn, quello non lo rendeva meno perfetto, solamente più reale. Ecco perché, una persona come lui mai sarebbe potuta essere paragonata al proprio padre. C'era un abisso tra i due anche se il tassorosso non sembrava ancora in grado di scorgerlo.

    Nonostante ciò, non disse nulla, non lo mise al corrente dei suoi pensieri sia perché non era certa di quello che pensasse il ragazzo, sia perché non era giusto dirgli determinate cose. Era la sua opinione, gliela aveva detta e tanto bastava. Non sarebbe stato corretto imporgliela. In fondo, l'amicizia era proprio quello: essere in grado di accettare rispettosamente le opinioni altrui anche se non si condividevano.

    La successiva risposta, invece, li riportò nuovamente sullo stesso piano.
    Capiva ciò che le stava dicendo. Durante l'estate li aveva ignorati e anche ad Hogwarts manteneva comunque una certa distanza. Era più facile rimanere da sola. Pensare di non aver nessuno accanto le permetteva di crogiolarsi nell'oscurità senza farla piombare anche sulle persone intorno. Perché, quando ci si isolava, non lo si faceva per sé stessi ma per gli altri, per impedire al prossimo di scorgere quanto l'anima fosse in pezzi. Lo si faceva per mantenere una parvenza di normalità anche se solo all'apparenza.
    Non era per quello che lei si comportava in quel modo? Eppure, a differenza di Zach, lei sembrava ancora intenzionata a proseguire per quella strada, forse perché sapeva che se avesse permesso loro di entrare nel suo nuovo mondo, nulla sarebbe stato più come prima. Un cambiamento che non era ancora pronta ad affrontare. Preferiva quella situazione di stallo alla verità.
    Perché aveva paura. Era certa che un posto per lei ci sarebbe sempre stato tra di loro ma sarebbe stato giusto occuparlo? Ci sarebbe dovuto essere qualcuno di più meritevole, di migliore e non sentiva di essere lei. Come poteva essere un licantropo, con seri problemi di controllo, la persona adatta stare al loro fianco? Voleva esserlo ma era certa che non ci fosse nessuna strada che potesse renderla migliore. Era una causa persa.
    Sono felice che tu sia riuscito a ritornare da noi. Era l'unica verità che poteva donargli, l'unica che le importava. Senza di te non era lo stesso. Era come se mancasse il responsabile del gruppo, quello che riusciva a donare un po' di buon senso agli altri E grazie per avermi reso parte di questo. Non specificò a cosa si riferisse. Forse al suo inconscio alchemico, forse alle parole che le aveva rivolto, forse al dolore che aveva condiviso con lei. Non lo sapeva. L'unica cosa di cui era certa era che, in futuro, quello che era accaduto in quella stanza le sarebbe servito più di quanto credesse.


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    Ci vuole tempo. Per trovare le risposte ci vuole tempo. Che siano giuste o meno, poi, anche quello viene col tempo. Ci vuole tempo, si diceva Zacharie, ed ora osservava il vuoto tra le pennellate d'intonaco e tra le onde ed il cielo, tra l'azzurro degli occhi della sua amica e quello dei propri. Ci vuole tempo. Bisogna sedere nei silenzi e farli pesare il giusto, trovare il senso della quiete e rimuginare sui propri pensieri fino a non vederli maturare in repliche. Incomplete, sempre e comunque, ma pur sempre repliche, qualcosa da dire, qualcosa in cui credere, anche solo per un attimo, crederci abbastanza per poter dire le cose ad alta voce nella speranza che all'ascolto vi fosse qualcuno in grado di fare lo stesso. Ponderare, andare contro sé stessi, contro la propria stessa natura pur di tentare di capire. Capire. Un'arma a doppio taglio, saper capire. O anche solo provarci.

    Ci vuole tempo. Per guarire. Perché le ferite si rimarginino, ci vuole del tempo. E non è detto che lo facciano per davvero. Rimangono lì, chiuse da spilli di vetro, senza che la carne riesca a chiudersi attorno al foro lasciato dalle disgrazie e le sfortune e le tragedie di vite parallele che sembravano volerli rifiutarli entrambi, in un modo o nell'altro. Sdraiati su quel letto erano monumento a quella realtà, statue fatte di sogni e di speranze, congelate dalle paure che condividevano, in un modo o nell'altro, da quei timori ad accomunarli che tentavano di debellare l'uno per l'altro. Senza successo. Non era il momento giusto. Sarebbe mai arrivato? C'era una domanda che si ripeteva spesso ad opporsi a quella visione delle cose, a quella tragedia composta delle loro cicatrici e degli eterni attimi a interporsi fra il dolore ed il sollievo, ancora inconclusi. Importava veramente?

    Erano lì. Assieme. Ed era certo che quella fosse l'unica ragione per la quale il cratere nel proprio petto diventasse soltanto un ricordo lontano, tra i loro silenzi, un'immagine da tracciare su carta e dimenticare in una poesia malinconica. L'avrebbe riletta chissà quanto tempo dopo, e si sarebbe ricordato di quel momento, di quella sera, e avrebbe saputo sorridere. Forse le avrebbe fatto leggere qualcosa. Forse. Neanche Emily vi aveva messo mano sopra a quegli scritti, a quei fogli, sui quali perdeva il sonno, tentando di ricollegare i pezzi della propria vita e dare a tutto un senso, anche solo per sé stesso, per la propria anima, perché sapesse riorganizzare le emozioni tramite l'inchiostro. Per capire cosa significasse rimanere soli, per capire se lo fosse per davvero.

    Ed oramai la risposta era sempre "no".

    "Lo eri già prima.", un sussurro, voce flebile di rimando, dopo lunghi momenti di pausa, d'attesa, di calma. Anch'egli ora non si fece carico di decidere a cosa si stessero riferendo. Se della sua vita, del suo inconscio, dei suoi pensieri. Non era cruciale trovare la domanda. La risposta era sempre la stessa, e sarebbe per sempre stata la stessa. "Che sapessi ammetterlo o meno, non avrei mai potuto...", e s'interruppe. Abbandonarmi, il pensiero a riempire lo spazio tra l'ultima sillaba e l'ultimo punto. Silenzio. Lasciarsi alle spalle quella parte della propria vita che incapsulava anche i propri affetti e le proprie amicizie avrebbe significato lasciarsi alle spalle parte di sé. E a guardarsi allo specchio non avrebbe più saputo riconoscersi, categoricamente. Senza sé, senza ma, senza ipotetici. E l'aveva già espressa in parte, quella realtà, eppure di nuovo a solcare la sua mente quell'incubo vi impresse un segno, indelebile. Ed ora invece, per quanto intrinsecamente diverso fosse anche solo dal sé stesso di qualche anno prima, era riuscito a ritrovarsi nello sguardo di Evelyn. Coperto di ferite. Ma erano parte di sé.

    Scosse il capo, appena, ricacciando la frase inconclusa indietro, tra i propri pensieri. "Non abbandonarmi, Eve.", le chiese. E non era un'accusa, non era una paura, né un'intuizione. Era una constatazione, una necessità, una realtà che non poteva esser altrimenti. "Vorrei stare così per un giro dell'universo.", mormorò. "Interi.", e richiamò le parole che lei aveva utilizzato per definire quella sensazione, quell'emozione che ora prendeva note dolceamare tra le labbra, pace tumultuosa a riempire il suo cuore.
     
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