hazte responsable de tu respiraciòn

Quando arrivammo il mio percorso visivo si era fermato nelle antiche mura di quel luogo. Pietre millenarie posizionate le une sulle altre per ottenere un risultato maestoso e regale. La guida estera che ci accolse era un bell'uomo dalla pelle baciata dal sole, il fisico statuario di una di quelle rappresentazioni delle divinità, ornato da un abito bianco come il marmo. Rimasi a osservarlo per pochi istanti, inebetita e falsamente distaccata, mentre camminavamo all'entrata del Tempio e, poi, in un giardino segreto. Come se portasse con sé la brezza delle foreste, sentii l'aria farsi forse più piacevole, nonostante le enormi statue di marmo mi osservassero con un giudizio ancestrale, dall'alto. Si mossero come sospinti da un comando di una divinità ancora più grande e scendemmo le scale tutti insieme, o forse separati, non me ne accorsi, troppo intenta a guardarmi intorno con aria meravigliata.
La sala circolare che ci accolse era costellata di officianti uomini e donne con delle tuniche in mano, al centro una cascata d'acqua scrosciante sembrava immobile e statica, in un movimento quasi silenzioso dall'alto verso una vasca sul pavimento. Khalid ci spiegò tutte le strane cose che facevano in quella terra, io che cercavo di capire se qualcosa nel suo parlare mi appartenesse o meno, come se potessi scorgere in lui i resti dell'uomo che fu mio padre. Non potevo saperlo, non l'avrei mai saputo.
Quando fu il mio turno, mi cambiai velocemente senza fare troppo caso a ciò che mi circondava. La mia natura di Ifrit non amava particolarmente l'acqua, ma quella doveva essere incantata magicamente o, più semplicemente, frutto di magia, e quindi fu qualcosa che non mi spinse a disdegnarla del tutto. Mi avvicinai al bordo della vasca e infilai i piedi nudi all'interno, i movimenti che venivano leggermente interrotti dall'attrito di quello strano liquido. La tunica si spanse leggermente nell'acqua sospinta da movimenti involontari del liquido e io, cauta, mi mossi verso la cascata. Iniziai a contare.
Uno
Nell'istante in cui l'acqua mi colpì, uno sciacallo rosso si disegnò sul petto, all'altezza del cuore. Un'immagine così nitida da non avere dubbi, così definita da non avere alcuna scelta se non essere quella. Poche erano le certezze, come quell'immagine rossa come il sangue, come la punta dei miei capelli quando ero arrabbiata.
Due
Rimasi ancora immobile, sentendo il crepitare dell'elemento che mi si opponeva contro la testa, toccarmi come una mano gentile, lasciare che scivolasse idrofobo sui miei capelli e inzuppare l'unica cosa che sembrava poterlo accogliere. La mia tunica, appiccicata a un corpo di donna che sta crescendo, era zuppa d'acqua, umida e asciutta allo stesso tempo. Mi sentii pervasa da un calore che non sapevo spiegare, che partiva dal petto.
Tre
Portai le mani alla tunica, sfiorai il disegno stampato, o forse ricamato, uno strano bagliore che si andava attenuando. Le dita percepirono il battito del cuore, il simbolo dello sciacallo sembrava parlarmi, riverberare il caos nella mia mente e, pochi istanti dopo, domarlo. Che fosse veramente quell'elemento, il mio? Caos e distruzione?
Quattro
Se il mio animus avesse potuto parlarmi, l'avrebbe fatto col clangore delle spade. Un uomo, possente e guerriero, esotico come quella terra che ci aveva accolti, caldo e passionale come sapevo essere io. Sentii l'acqua come riscaldarsi, bruciare nel tepore della vita che mi scorreva nelle vene, il calore di rumori di guerre lontane e di ordini impartiti in lingue che sanno di lamenti. Qualche passo, lento, verso l'esterno di quella cascata. Respiro.
Cinque
Trattengo il respiro, mi muovo rapidamente verso l'esterno, la lentezza delle mani che sfiorano l'acqua e, allo scoccare dell'ultimo secondo, quella macchia che sembrava sangue, quella bestia che dilaniava i cadaveri e ringhiava ai nemici, quel simbolo di quel dio millenario e lontano, era impresso nella mia tunica.

Non c'erano dubbi, anche io ero figlia del Dio Seth.